Oct 22, 2018

Brazilian Presidential Candidate Poses Existential Threat to Minorities and the Environment


If candiate Jair Bolsonaro wins the upcoming elections, minority rights and the environment protection in Brazil will suffer severe setbacks. He has openly proclaimed to end all forms of activism on the environment, minorities, sexual orientations and struggles for land. Among other things, his plans include the closure of the Ministry of Environment and a reopening of the construction of a hydroelectric plant exploiting the fragile river systems of the Amazon. This poses a severe threat to the indigenous peoples of the Amazon, whom Bolsonaro believes are too catered for in Brazilian politics.

The article below was published by Corriere Della Sera

 

RIO DE JANEIRO Basta con la protezione eccessiva degli indios, meno ostacoli all’agricoltura in Amazzonia, fuori il Brasile dagli accordi internazionali sul clima. Se Jair Bolsonaro realizzasse solo una parte delle promesse elettorali, accusano i suoi avversari, il Brasile farebbe davvero un passo indietro di mezzo secolo, tornando a quegli anni «dorati» della dittatura militare che l’ex capitano dell’esercito non nega di rimpiangere.

È un nemico dichiarato dell’ambiente e non solo, sostiene il vasto schieramento con il quale Bolsonaro promette senza mezzi termini di «farla finita». Come quando, ancora pochi giorni fa in una conferenza stampa, ha detto che vuole porre termine a tutte le forme di «attivismo» in Brasile, volendo dire cioè ambiente, minoranze, orientamenti sessuali, lotte per la terra.

Se a una parte delle posizioni di Bolsonaro si può fare la tara della retorica da campagna elettorale, o da deputato estremista di nicchia quale è stato per 30 anni, per altre c’è il nero su bianco del programma elettorale. Il «progetto Fenix» per la rinascita del Paese, «il Brasile prima di tutto, Dio sopra a tutti», propone per esempio di abolire il ministero dell’Ambiente e incorporarlo a quello dell’Agricoltura. Poiché quest’ultimo finirà certamente nelle mani di qualcuno che rappresenta gli interessi dei produttori (nel Congresso di Brasilia ci sono almeno 200 parlamentari, di tutti i partiti, che fanno parte della lobby), è facile pensare che i fazendeiros grandi e piccoli possono già mettere le bottiglie di champagne in frigo.

Bolsonaro non parla ovviamente di tornare a disboscare liberamente le foreste come si è fatto fino a qualche decennio fa, ma promette di allentare i controlli e le multe. Il che è sostanzialmente la stessa cosa, perché già adesso in Amazzonia la capacità di controllo su territori grandi come interi Stati europei è piuttosto limitata.

Bolsonaro ripete spesso che in agricoltura il Brasile dovrebbe prendere esempio da Israele, dove «si coltiva con successo il deserto» e creare una forma di cooperazione speciale con quel Paese. Ma gli addetti ai lavori gli rispondono che come terzo produttore del mondo e quello che più ha investito per ampliare le colture nei climi tropicali, è il Brasile a poter dare lezioni agli altri.

Sempre in campo ambientale, c’è la proposta di ridurre a tre mesi i termini per le autorizzazioni di impatto. La destra vuole che si riaprano i cantieri per le centrali idroelettriche, le quali sfruttando i fiumi amazzonici e le terre circostanti, sono sempre a forte rischio per l’ecosistema. Gli iter di autorizzazione sono dunque lunghi, e alcune sono state scartate. Bolsonaro vuole però anche rilanciare l’energia solare e eolica.

Sul destino che attendono gli storici movimenti brasiliani per aprire i grandi latifondi incolti ai contadini «sem terra» e la protezione oggi garantita alle comunità indigene, le parole bellicose di Bolsonaro («Finirla con tutta quella roba lì», è lo slogan preferito) non trovano riscontri chiari nel programma di governo, ma sono forti i timori di regolamenti privati di conti nei campi e nelle foreste, dove gli squadroni della morte già esistono e l’impunità per chi fa fuori attivisti è già altissima.

«Nemmeno un centimetro quadrato in più agli indios», è una delle promesse di Bolsonaro, il quale sostiene che le riserve sono già troppo ampie in Brasile (non è il solo a pensarla così, a dire il vero). Nessun margine invece per i movimenti dei senza terra, considerati da Bolsonaro eserciti clandestini comunisti, al servizio del Pt di Lula. L’audace teoria enunciata nel programma di Bolsonaro è che «la violenza in Brasile è esplosa, facendo oltre un milione di morti ammazzati, a partire dalla prima riunione del Foro di San Paolo», avvenuta nel 1990. Si tratta dell’associazione di partiti e movimenti della sinistra latinoamericana voluta dal giovane Lula e Fidel Castro, che si limita ad una o due inutili riunioni all’anno, ma è un’ossessione per Bolsonaro e la prova della minaccia rossa sul Continente.

 

Photo Courtesy of Rainforest Action Network @Flickr