Sep 19, 2018

Somaliland: The Forgotten Land Where It Never Rains


Corrado Formigli introduces the premier of a new season of the television show Piazzapulita, dedicated to Somaliland — shedding light on the various problems that plague the unrecognised country which lacks any trace of international humanitarian aid. As Formigli explains, Somaliland, once known for its green fields and running water is now home to an advancing desert and a population of fifteen thousand refugees lacking potable water.

The article below was published by Corriere:

 «La propaganda politica evoca continuamente l’Africa, in tanti dicono aiutiamoli a casa loro, ma a casa loro non ci sono mai stati». Corrado Formigli riparte a sud del Mediterraneo, con un reportage dal Somaliland, lo Stato che non esiste, indipendente dal 1991, con un governo, un Parlamento e un esercito, ma senza essere riconosciuto da nessun Paese del mondo. L’apertura della nuova stagione di Piazzapulita (ogni giovedì, alle 21.10 su La7) è dedicata a questo Paese ucciso dalla siccità, dove non piove da tre anni, dove una volta per essere ricchi ci volevano 100 dromedari e adesso ne bastano 20, dove una capra costa 68 dollari, il doppio di cinque anni fa. «È un luogo di una povertà assoluta, ucciso dai cambiamenti climatici, dal deserto che avanza. Un tempo questa terra era chiamata la Svizzera del Corno d’Africa, c’erano campi verdi e acqua. Il mio è un viaggio nell’ipocrisia che ci circonda — spiega Formigli — perché in questi luoghi non c’è traccia di aiuti presenti e nemmeno di aiuti futuri». 

Il Somaliland è una terra dove la popolazione è profuga nelsuo stesso Paese, c’è un campo di 15 mila persone, capanne di stracci, dove tutti hanno perso il bestiame, non hanno acqua, se non salmastra: «In Africa sono arrivati i cinesi e i russi, mentre l’Europa è assente. La strada è anche quella, intervenire in Africa in maniera strutturale, non con le elemosine. Perché è in un humus ben preciso che la radicalizzazione islamica può coltivarsi, ovvero quando tutto è perduto. Qui gli Al-Shabaab, le cellule somale di Al Qaida, rischiano di diventare gli unici che mettono ordine in una società allo sbando. Intervenire in casi come questi per l’Occidente è una polizza di assicurazione sul futuro. Fare politica non significa assecondare la pancia dell’elettorato, i politici sono pagati per trovare delle soluzioni».

È un viaggio che serve ad andare alle radici di un fenomeno:«Vogliamo spiegare perché il flusso migratorio da quelle zone è particolarmente intenso, con il deserto che avanza e spinge la popolazione verso l’acqua e il cibo. Raccontare le storie di persone che vedi è un modo per farle uscire dalla massa indistinta di gruppi migratori di cui si parla in modo astratto». Un altro aspetto è mostrare il lavoro delle Ong: «La politica le ha criminalizzate, con linguaggio semplificatorio le definisce taxi del mare, getta discredito su realtà che rischiano di ricevere meno finanziamenti, mentre sono le uniche che fanno concretamente qualcosa».

Già nelle stagioni precedenti la cifra del reportage è entrata nel racconto di Piazzapulita: «Il racconto della realtà è sempre più centrale per capire davvero quello che ci sta intorno. Uno dei problemi dell’informazione è la disintermediazione tra il potere e i cittadini. Oggi il potere comunica direttamente, attraverso i social, con quello che chiama popolo — che poi sono solo una parte dei cittadini, sono gli elettori del proprio partito. Il giornalista viene visto con fastidio, percepito come un intruso, mentre invece una narrazione terza è fondamentale per avere gli strumenti per farsi un’idea indipendente. I politici non amano i reportage e le inchieste, perché li mettono di fronte alla realtà: la realtà è molto più difficile da affrontare rispetto alle domande di un talk».

La politica contribuisce ad alimentare le paure:«La gente legge poco e viaggia poco, così la politica prospera sulle fake news. Se Salvini venisse da me in trasmissione — anche se non viene mai e non so perché — gli chiederei cosa dobbiamo dire a questi bambini senza speranza: hanno il diritto di provare ad avere un futuro migliore oppure devono morire lì? Non è buonismo, non è immigrazionismo. Sono domande legittime di fronte a un’ingiustizia profonda».

Photo courtesy of Wikipedia.