Nov 27, 2015

Turkmen in Syria and Iraq: A Forgotten People in the Eye of the Storm


Marco Perduca, former Italian Senator and UN representative for the Radical Party, sheds light on the history and current situation of the Turkmen, an oft-forgotten nation spread across a very large area of the Middle East, highlighting in particular their struggles in Syria and Iraq. Under Assad, the community was denied the use of its language and was not recognised as an ethnic group, which led them to be among his regime’s most strenuous opponents. In Iraq, instead, the three million Turkmen are the country’s third largest ethnic group, but have nonetheless been facing decades of problems, such as the resettlement of Kurds on their lands and their relative exclusion from government posts. Furthermore, in both countries, the community is strenuously trying to resist the Islamic State’s invasion, by which they have been particularly affected. 

Below is an article by the Huffington Post:

Negli ultimi giorni, ma non necessariamente nella stampa italiana, si è finalmente iniziato a parlare di turkmeni. Turkmeni siriani e iracheni. Poco si conosce, e poco si è raccontato però, di chi siano questi gruppi, dove vivano e quali problemi pongano a tutti i loro vicini.

I turkmeni, o in alcuni casi turcomanni, sono delle popolazioni di origine e lingua turchica che vivono dai confini della Turchia fino alle regioni cinesi occidentali, da Latakia a Urumqi. Alcune stime ritengono che nel mondo ci siano quasi 160 milioni di persone connesse a questo ceppo. Dall'Anatolia al Turkistan orientale, lo Xinjiang cinese, passando per Siria, Iraq, Azerbaijan, Caucaso, Crimea, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Tajikistan, Kirghizistan, Kazakistan e Afghanistan costituiscono una comunità transnazionale che si stende dal Mediterraneo ai deserti mongoli che se unita potrebbe creare problemi, o risolverne, in molti conflitti.

In origine nomadi, e spostatisi verso oriente ben prima dell'impero ottomano nel VII secolo, e tradizionalmente mercanti erano distribuiti per tutta la cosiddetta via della seta, col passare dei secoli si sono stabiliti facendo proprie diverse interpretazioni dell'Islam sviluppando culture e tradizioni distinte. I turkmeni siriani si concentrano soprattutto nel nord est del paese, nella zona di montagna di Latakia vicino al confine turco oltre che ad Aleppo, Idlib, Homs, Tartus e nella regione di Damasco. Non ci sono dati demografici attendibili, ma si stima che il numero sia compreso tra 1,5 e 3,5 milioni di persone.

Sotto i regimi degli Assad in Siria, ai turkmeni fu vietato l'uso della loro lingua né furon degnati del riconoscimento di gruppo etnico. Non meraviglia quindi che siano stati tra i primi a prendere le armi contro Assad fin dall'estate del 2011 formando numerosi gruppi ribelli addestrati. Secondo quanto raccolto dalla Bbc nelle settimane scorse, le brigate turkmene lavorano con altri gruppi armati anti-Assad senza escludere alleanze temporanee e strategiche con Al-Qaeda, Al-Nusra e Ahrar al-Sham.

Per chi ricorda la geografia delle manifestazioni siriane del gennaio 2011, la zona dove si trovano anche i turkmeni fu il centro delle mobilitazioni; da quando è entrata in gioco l'aviazione russa quelle regioni, e non la zone orientali della Siria, son tornate a esser luogo di scontri costanti tra i turkmeni e l'esercito siriano, le forze iraniane e Hezbollah.

A causa di una violazione dello spazio aereo turco, Il 24 novembre l'esrcito di Ankara ha abbattuto un Su-24 russo, i due avieri salvatisi paracadutandosi, sono per loro sfortuna caduti nei territori che stavano bombardando. Non è chiaro quali siano le loro condizioni, si susseguono informazioni contrastanti da parte turca e russa, ma un video dei ribelli, confermerebbe che uno dei due sia morto, non si capisce però come.

Oltre a combattere contro l'esercito siriano regolare, i turkmeni siriani sono nemici giurati dello Stato Islamico contro il quale hanno combattuto l'estate scorsa a fianco dei curdi siriani durante gli assalti a Kobane coordinandosi con gli Usa.

I turkmeni iracheni, sono una comunità di circa 3 milioni, anche qui le cifre variano a seconda delle fonti, e vivono prevalentemente nelle province di Mosul, Erbil, Kirkuk, Salahaddin e Diya, ma anche Baghdad e Wasit. A differenza dei loro cugini in Siria, rappresentando il 13% della popolazione; nell'Iraq post-Saddam sono riconosciuti come componente etnica, la terza, dello stato. Contrariamente ai turkmeni siriani, sono in maggioranza di religione sciita.

I turkmeni iracheni considerano Kirkuk la loro "capitale". Si tratta di una zona dove si produce quasi il 20% del petrolio iracheno (il 2,2% del petrolio mondiale). Oltre all'oro nero, la parte centrale dell'Iraq è ricca di gas e zolfo. Fin dalla liberazione irachena i turkmeni son stati stretti nella morsa dei curdi a nord e il governo centrale a sud che voleva porre sotto il proprio controllo una regione così ricca - ricca tra l'altro anche di frumento. Non ostili alle altre comunità etniche e religiose che da sempre vivono nella mezzaluna fertile, arabi, curdi, assiri, turcomanni (un'altra minoranza nella minoranza) e cristiani, i turkmeni sono distinti nella lingua, nella cultura e nella religione dei vicini.

Questa loro peculiarità religiosa li ha fatti a tratti esser più vicini a Baghdad, da 12 anni a guida sciita, e in ulteriore contrasto coi vicini curdi e arabi entrambi sunniti. Anche per questi motivi, oltre che per essersi trovati sulla strada delle incursione dell'Isis verso nord, a febbraio del 2015 hanno subito gravissimi attacchi durante i quali 450 civili turkmeni son stati rapiti. Già nell'estate del 2014, in una delle sue prime violente manifestazioni, l'Isis aveva rapito centinaia di civili tra cui ragazze turkmene e yazidi. A oggi non si sa cosa ne sia stato.

Ricapitolando, ammesso e non concesso che sia possibile, i turkmeni in Siria combattono Assad ma anche l'Isis, quelli iracheni contrastano i peshmerga ma anche l'Isis. Potrebbe esser utile guadagnarsi il loro sostegno, oltre che garantirne la sicurezza come chiede alle Nazioni unite la Turchia, per evitare di trovarsi a contare nuovi morti da quelle parti.